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Accoglimento totale n. cronol. 25505/2023 del 28/09/2023

RG n. 6979/2023

R.G. n. 6979/2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI MILANO

Sezione del lavoro

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Milano, Luigi Pazienza,

sul ricorso ex art. 28 L. n. 300/1970 promosso da

NIDIL CGIL MILANO, FILCAMS CGIL MILANO e FILT CGIL MILANO,

rappresentati e difesi dagli Avv.ti C. De Marchis, M. M. Bidetti, S. Vacirca

e M. Borali;

nei confronti di

“UBER EATS ITALY s.r.l.”, in persona del legale rappresentante pro-

tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti V. Moresco e G. M. Cagnes;

emette il seguente

DECRETO

Con ricorso depositato il 14.07.2023 le organizzazioni sindacali indicate in epigrafe hanno convenuto in giudizio la Uber Eats Italia s.r.l. formulando le seguenti conclusioni: “ In via principale accertare e dichiarare la natura antisindacale della condotta della convenuta consistente nella mancata trasmissione alle organizzazioni sindacali ricorrenti di una idonea informativa preventiva ai sensi del d.lgs 25/07 rispetto alla decisione dicessare le proprie attività di food delivery in Italia con conseguente cessazione di tutti i rapporti di lavoro dei rider; accertare e dichiarare la natura antisindacale della condotta di Uber Eats Italy s.r.l. consistente nella omissione della procedura di consultazione per la cessazione delle attività del food delivery nel territorio nazionale risolvendo tutti i rapporti di lavoro ai sensi dell’art. 1,commi 224 e seguenti della legge234/21; accertare e dichiarare la natura antisindacale della condotta di Uber Eats Italy s.r.l. consistente nel mancato avvio della procedura di cui agli art. 4 e 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223 per i rapporti di lavoro dei rider continuativamente impiegati e utilizzati per i quali è stata prevista la disconnessione dalla piattaforma e la risoluzione dei rapporti di lavoro. Se del caso laddove il Giudice ritenga di applicare la disciplina attuativa delle direttive 11 marzo 2002/14/CE e 20 luglio 1998/59/CE ai soli prestatori di lavoro delle piattaforme riconducibili alla nozione di lavoro subordinato di cui all’art 2094 con esclusione dei lavoratori etero –organizzati o economicamente dipendenti, sospendere il presente giudizio e disporre il rinvio degli atti di causa ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea onde sottoporre alla stessa i seguenti quesiti rilevanti nella presente controversia: Se la nozione di lavoratore contenuta nella direttiva 11 marzo 2002/14/CE e nella direttiva 20 luglio 1998/59/UE sia demandata alle singole legislazioni nazionali in sede di trasposizione nei propri ordinamenti e consenta una applicazione non omogenea tra gli stati membri in virtù di qualificazioni proprie dei singoli ordinamenti nazionali. Se la nozione di lavoratore contenuta nelle direttive 11 marzo 2002/14/CE e 20 luglio 1998/59/CE sia da ricondurre alla nozione di “worker”, comune per tutti gli stati membri nella quale rientrano anche prestatori di lavoro delle piattaforme digitali che rendono una attività lavorativa remunerata, con carattere personale, continuativo, che pur avendo facoltà di rifiuto dell’offerta di lavoro, sono, tuttavia, tenuti a attenersi al modello di lavoro etero imposto che prevede un sistema di ranking reputazionale sulla base di parametri stabiliti dal datore di lavoro che condizionano l’accesso al lavoro. Se osta con il diritto dell’Unione Europea e in particolare con le direttive 11 marzo 2002/14/CE e 20 luglio 1998/59/CE la disciplina dell’art. 2, 1° co. lettera c) del d.lgs 6 febbraio 2007 n. 25 e degli artt. 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223 che rispettivamente istituiscono un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori e una procedura di informazione e consultazione per i licenziamenti collettivi per i soli rapporti di lavoro qualificati come subordinati secondo l’ordinamento nazionale. Ovvero Laddove il Giudice non ritenga di potere definire il giudizio sulla base di una interpretazione conforme della nozione di worker contenuta nelle direttive 11 marzo 2002/14/CE e 20 luglio 1998/59/CE, disapplicando le previsioni incompatibili contenute negli art. 1,2, 1° co. lettera c) del d.lgs 6 febbraio 2007 n. 25 e negli artt. 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223, e comunque di applicare anche ai rapporti di lavoro etero organizzati le norme di cui alla all’art.1, commi 224 e seguenti della legge 234/21, sospendere il presente giudizio e trasmettere gli atti alla cancelleria della Corte Costituzionale ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di dette disposizioni per il contrasto con agli artt. 3, 4, 10, 35 e 117 Cost. per contrarietà con le direttive 11 marzo 2002/14/CE e 20 luglio 1998/59/CE e con l’art. 29 della Carta Sociale Europea e per l’irragionevole e ingiustificata esclusione dalle procedure di informazione e consultazione sindacale dei rapporti di lavoro dei prestatori lavoro etero organizzati e/o economicamente dipendenti da un datore di lavoro, che rendono una attività di tipo personale e continuativa che subiscono una conseguenza analoga a quella dei lavoratori subordinati dalla perdita del lavoro e per l’effetto ordinare alla convenuta di revocare, e comunque dichiarare inefficaci, tutti i recessi dai contratti di lavoro dei rider che in forma continuativa personale ed eterodiretta svolgono la prestazione di rider con le modalità descritte nel ricorso o altra di giustizia con account attivo alla data del 14 giugno2023 o altra data di giustizia; di fornire alle organizzazioni sindacali ricorrenti un flusso informativo preventivoe completo, idoneo e adeguato finalizzato, ai sensi del d.lgs 25/07, ad una consultazione sulla decisione di cessare le attività di food delivery in Italia implicante la risoluzione dei rapporti di lavoro dei rider; di avviare le procedure e il confronto previsto in caso di cessazione di attività previsto dall’art. 1, commi 224 e seguenti della legge 234/21;di avviare solo all’esito delle procedure di cui al punto c. e comunque anche in caso di mancato accoglimento di detta domanda, le procedure di cui agli art. 4 e 24 legge 23 luglio 1991 n. 223 con riferimento ai rapporti di lavoro dei rider che in forma continuativa, personale ed eterodiretta svolgono la loro attività come ciclofattorini per la società con account attivo alla data del 15 giugno 2023. In ogni caso disporre nei confronti della convenuta l’ordine di comunicare l’emanando decreto a tutti i rider tramite la piattaforma e email e comunque con le medesime modalità di comunicazione del recesso; di inserire in forma intelligibile l’emanando decreto nella pagina aziendale https://www.uber.com/it/it/deliver/ del sito della convenuta dedicato alle comunicazioni e informazioni ai rider con dimensioni di almeno mezza pagina e nella sua pagina Facebook, Istagram, nei canali social utilizzati dalla società; di pubblicare a sue spese su almeno quattro giornali di portata nazionale che si indicano (Il Fatto Quotidiano, la Repubblica e la Stampa) nonché su “Il Messaggero” con un formato non inferiore a mezza pagina orizzontale 276x186 mm. il testo integrale dell’ emanando provvedimento; condannare la società Uber Eats Italy s.r.l. al risarcimento del danno in favore delle organizzazioni sindacali ricorrenti nella misura di € 40.000,00 o nella maggiore o minore somma di giustizia da determinarsi in via equitativa. Condannare la società convenuta al pagamento di una astreinte in favore delle organizzazioni sindacali ricorrenti ex art. 614 bis c.p.c. nella misura di € 5.000,00 o altra somma adeguata di giustizia per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Disporre ogni altra misura idonea a cessare gli effetti della condotta antisindacale. Con vittoria di spese, competenze ed onorari oltre iva, cpa e spese generali con maggiorazione del 30% in ragione dei collegamenti ipertestuali ai sensi dell’art. 4, comma 1 bis, del D.M. 55/2014 da distrarsi in favore dei sottoscritti difensori”. Si costituiva in giudizio la Uber Eats Italy srl chiedendo il rigetto delle domande. Le domande delle organizzazioni sindacali sono in parte fondate secondo le argomentazioni che seguono.

1. La legittimazione attiva delle organizzazioni sindacali ricorrenti.

Nel partire dall’esame delle eccezioni di difetto di legittimazione attiva sollevate dalla resistente, va ricordato che l’art. 28 dello Statuto dei lavoratori riconosce la legittimazione ad agire per la repressione della condotta antisindacale non già a tutte le associazioni sindacali, ma solo agli "organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse". La giurisprudenza della Suprema Corte ha ripetutamente affermato ( Cfr. ex multis Cass. n. 1307/06) che con tale disposizione il legislatore ha dettato una disciplina differenziata, operando una distinzione tra associazioni sindacali che hanno accesso anche a questo strumento processuale di tutela rafforzata dell'attività sindacale e altre associazioni sindacali che hanno accesso solo alla tutela ordinaria attivabile ex art. 414 c.p.c. e segg. La Corte Costituzionale (v. sentenza n. 89/95) ha riconosciuto la legittimità di questa scelta, sottolineando che il procedimento di repressione della condotta antisindacale si aggiunge alle tutele già assicurate alle associazioni sindacali e rappresenta un mezzo ulteriore per garantire in modo particolarmente rapido ed efficace i diritti del sindacato. La stessa Corte Costituzionale ha quindi affermato che l'opzione di un livello rappresentativo nazionale, oltre a corrispondere al ruolo tradizionalmente svolto dal movimento sindacale italiano, si uniforma al principio solidaristico nel quale va inserito anche l'art. 39 Cost.. Gli interessi che la procedura dell'art. 28 cit. intende proteggere, quindi, trascendono sia quelli soggettivi dei singoli lavoratori sia quelli localistici e coincidono con quelli di un'associazione sindacale che si proponga di operare e operi a livello nazionale per tutelare gli interessi di una o più categorie di lavoratori (cfr. Cass. n. 5209/10). Si è pure precisato, in dottrina e in giurisprudenza (cfr. Cass. n. 5209/10 cit; Cass. n. 13240/09), che non devono confondersi i requisiti di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 19 per la costituzione di rappresentanze sindacali, titolari dei diritti di cui al titolo 3, con la legittimazione prevista ai fini dell'art. 28 stessa legge. Mentre l'art. 19 richiede la sottoscrizione di contratti collettivi nazionali (o anche provinciali o aziendali, purché applicati in azienda), oppure, a seguito dell'intervento additivo della Corte Costituzionale con sentenza n. 231/13, la partecipazione del sindacato alla negoziazione relativa agli stessi contratti, quali rappresentanti del lavoratori, l'art. 28 richiede, invece, solo che l'associazione sia nazionale. Anche il requisito della nazionalità è stato oggetto di numerose pronunce della Corte di Cassazione che, pur statuendo che esso non può desumersi da dati meramente formali e da una dimensione statica, puramente organizzativa e strutturale, dell'associazione, essendo necessaria anche un'azione diffusa a livello nazionale, nondimeno hanno puntualizzato che non necessariamente essa deve coincidere con la stipula di contratti collettivi di livello nazionale (cfr., ex aliis, Cass. n. 16637/14; Cass. n. 29257/08; Cass. n. 21931/14, Cass. n. 6206/12 e Cass. n. 2314/12; cfr., ancora, Cass. n. 16787/11; Cass. n. 16383/06). In sostanza ciò che rileva è la diffusione del sindacato sul territorio nazionale, a tal fine essendo necessario e sufficiente lo svolgimento di un'effettiva azione sindacale non su tutto, ma su gran parte del territorio nazionale, senza che in proposito sia indispensabile che l'associazione faccia parte di una confederazione né che sia maggiormente rappresentativa (così Cass. S.U. n. 28269/05). Con riferimento al caso che ci occupa, è provato ed incontestato che le OO.SS. ricorrenti sono organismi locali di organizzazioni sindacali nazionali, risultando del resto evidente il loro interesse alla pronuncia. Come condivisibilmente evidenziato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 10324/1998 “ … l’interesse ad agire delle associazioni sindacali non deve peraltro essere limitato ai soli casi in cui il sindacato agisca per la tutela dei diritti sindacali dei propri membri. Come è stato giustamente osservato, l'interesse tutelato dall'art. 28 non è solo quello alla propria libertà sindacale, bensì quello alla libertà di tutti i lavoratori e di tutti i sindacati.” Nel caso di specie, è indubbia l’appartenenza di Nidil, Filt e Filcams alla Confederazione Generale del Lavoro, che rappresenta oltre cinque milioni di lavoratori, così come è indubbia la loro diffusione sul territorio nazionale e la loro partecipazione alla stipula di contratti collettivi di livello nazionale.

2. La subordinazione

Ciò premesso, il punctum pruriens della vicenda che ci occupa è rappresentato dalla qualificazione dei rapporti di lavoro dei riders. In disparte la considerazione secondo cui la sommarietà del rito non impedisce al Giudice attraverso i mezzi istruttori previsti dall’ordinamento di procedere a tale accertamento, questo Giudice ritiene sulla base della documentazione prodotta dalle parti che i corrieri impiegati dalla resistente siano lavoratori subordinati. La questione circa la natura giuridica del rapporto intrattenuto fra i riders e le piattaforme digitali è stata affrontata dalla giurisprudenza europea ed italiana negli ultimi anni in numerose sentenze. Le ragioni principali che vengono poste a sostegno della tesi della natura autonoma del rapporto di lavoro dei riders sono costituite fondamentalmente dalla libertà dei ciclo-fattorini di scegliere se e quando lavorare: in assenza di un'organizzazione datoriale dei tempi di lavoro, non si potrebbe configurare la subordinazione e neppure una forma di etero- organizzazione. A tal proposito va ricordato che nel diritto dell'Unione Europea la nozione di lavoratore è priva di definizione. L'art. 45 del TFUE parla di “lavoratori” nell’ambito di una disposizione finalizzata ad assicurare la “libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione”. La collocazione in tale disposizione spiega come la nozione, nella ratio dell'art. 45 TFUE, sia finalizzata ad assicurare la libera circolazione dei lavoratori europei nel mercato comune “mirando alla garanzia dell'eguaglianza tra gli stessi nel mercato prima che nel rapporto e non alla correlazione delle disparità nascenti dal contratto di lavoro”. Nella sentenza FNV Kunsten Informatie della Corte di Giustizia Europea (sentenza 4.12.2014, C-413/13) la Corte evidenzia che un prestatore di servizi può perdere la qualità di operatore economico indipendente, qualora non determini in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma dipenda interamente dal suo committente, per il fatto che non sopporta nessuno dei rischi finanziari e commerciali derivanti dall'attività economica di questo ultimo e agisce come ausiliario integrato nell'impresa di detto committente (cfr. sentenza Confederación Española de Empresarios de Estaciones de Servicio, EU:C:2006:784, punti 43 e 44). Per giurisprudenza costante, la caratteristica essenziale di tale rapporto è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un'altra e sotto la direzione di quest'ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione (v. sentenze N., C-46/12, EU:C:2013:97, punto 40, nonché Haralambidis, C-270/13, EU:C:2014:2185, punto 28). La Corte ha sottolineato che la qualifica di "prestatore autonomo", ai sensi del diritto nazionale, non esclude che una persona debba essere qualificata come "lavoratore", ai sensi del diritto dell'Unione, se la sua indipendenza è solamente fittizia e nasconde in tal modo un vero e proprio rapporto di lavoro (v., in tal senso, sentenza Allonby, C-256/01, EU:C:2004:18, punto 71). Ne consegue che lo status di "lavoratore" ai sensi del diritto dell'Unione non può essere pregiudicato dal fatto che una persona è stata assunta come prestatore autonomo di servizi ai sensi del diritto nazionale per ragioni fiscali, amministrative o burocratiche, purché tale persona agisca sotto la direzione del suo datore di lavoro, per quanto riguarda in particolare la sua libertà di scegliere l'orario, il luogo e il contenuto del suo lavoro (v. sentenza Allonby, EU:C:2004:18, punto 72), non partecipi ai rischi commerciali di tale datore di lavoro (sentenza Agegate, C-3/87, EU:C:1989:650, punto 36) e non sia integrata nell'impresa di detto datore di lavoro per la durata del rapporto di lavoro, formando con essa un'unità economica (v. sentenza Becu e a., C-22/98, EU:C:1999:419, punto 26). La Corte individua, dunque, l'area dei rapporti contrattuali di lavoro che necessitano di una disciplina protettiva, ivi compreso il principio di autonomia collettiva che consente di dettare disposizioni restrittive della concorrenza, nell'insieme dei rapporti di lavoro caratterizzati non tanto da una mera dipendenza economica intesa quale “dipendenza reddituale” bensì da una “dipendenza organizzativa”. In ogni caso, ciò che rileva è il concreto atteggiarsi del rapporto, indipendentemente dalla qualificazione formale data dalle parti al contratto stipulato, in modo che possano applicarsi le tutele del lavoro subordinato in tutte quelle ipotesi in cui l'autonomia del prestatore sia meramente fittizia. Ponendosi in tale direzione recentemente la CGUE, con l'ordinanza 22.4.2020 C- 692/2019, ha affermato che “la direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, deve essere interpretata nel senso che osta a che una persona assunta dal suo presunto datore di lavoro in base a un contratto di servizi, in cui viene precisato che essa è imprenditore autonomo, sia qualificata come "lavoratore" ai sensi di tale direttiva, allorché dispone della facoltà di avvalersi di subappaltanti o di sostituti per svolgere il servizio che essa è tenuta a fornire; di accettare o di non accettare i diversi incarichi offerti dal suo presunto datore di lavoro, o di fissarne unilateralmente il numero massimo; di fornire i suoi servizi a qualsiasi terzo, ivi inclusi diretti concorrenti del presunto datore di lavoro e di fissare le proprie ore di lavoro nell'ambito di taluni parametri, nonché di organizzare il proprio tempo secondo le esigenze personali piuttosto che in base ai soli interessi del presunto datore di lavoro, in quanto, da una parte, l'indipendenza di detta persona non risulta fittizia e, dall'altra, non è possibile dimostrare l'esistenza di un vincolo di subordinazione tra tale persona e il suo presunto datore di lavoro. Tuttavia, spetta al giudice del rinvio procedere, tenendo conto dell'insieme degli elementi pertinenti relativi alla stessa persona, nonché dell'attività economica che essa esercita, alla sua qualificazione alla luce della direttiva 2003/88”. In questo contesto va ricordato che con la sentenza del 28.10.2016 n. 2202550 l'Employment Tribunal of London ha definito la piattaforma UBER riguardante gli autisti non come mero algoritmo di intermediazione, bensì come azienda privata di trasporto: a seguito dell'accertamento dell'esercizio di un potere di controllo da parte di Uber, gli autisti sono stati qualificati come workers e non come self-employed, ai sensi dell'art. 230 (lett. b) dell'ERA, con il conseguente riconoscimento dei diritti ad una giusta retribuzione e all'applicazione delle norme sull'orario di lavoro degli autisti privati. Lo status giuridico di worker, che si distingue da quello di employee derivante da contract of employment, secondo la norma inglese sussiste se il rapporto deriva da un contratto di lavoro (lett. a) o da qualsiasi altro contratto in forza del quale una parte si obbliga a fare o a esercitare personalmente un lavoro o servizi per un terzo, il quale non sia un cliente del prestatore (lett. b). Pertanto, lo status di worker implica che agli autisti vengano riconosciuti 28 giorni di ferie annuali retribuite e un limite di 48 ore settimanali, nonché il pagamento del salario minimo, attualmente di 7.50 sterline all'ora per i lavoratori sopra i 25 anni. Secondo la sentenza, dunque, agli autisti di Uber devono essere riconosciuti diritti quali le ferie retribuite e il minimo salariale. Tale sentenza, confermata in appello, è stata definitivamente condivisa dalla Corte Suprema del Regno Unito con la sentenza UKSC 5, del 19 febbraio 2021 ove è stato precisato che il rapporto contrattuale dei drivers è intrattenuto con Uber, non con i passeggeri di volta in volta trasportati. L'autenticità della libera scelta dei riders di lavorare oppure no è stata esclusa da altri giudici europei che hanno dichiarato la subordinazione del rapporto di lavoro con l'impresa che gestisce la piattaforma digitale. In Francia, la sentenza della Cour de Cassation, Chambre Sociale del 4.3.2020, n. 374, relativa agli autisti di Uber, ha evidenziato che il prestatore di lavoro non è un partner commerciale, in quanto nel momento della stipulazione del contratto aderisce ad un servizio di trasporto interamente organizzato da Uber attraverso la piattaforma digitale e i sistemi di elaborazione algoritmici che ne determinano il funzionamento. L'autista che ricorre all'infrastruttura tecnologica non ha la possibilità di crearsi una propria clientela né di determinare liberamente le tariffe da applicare e, in tal modo, colloca la propria attività lavorativa nell’ambito di un quadro di regole determinato dall'esterno. La Corte francese evidenzia le condizioni applicate al lavoro degli autisti ritenute rilevanti: l'imposizione di uno specifico percorso da seguire, ricavabile dal fatto che deviazioni inefficienti avrebbero determinato penalizzazioni economiche; la facoltà di Uber di sospendere temporaneamente l'account dopo tre incarichi rifiutati e di disattivarlo per ragioni rimesse 'à la discrétion raisonnable d'Uber'; lo svelamento della destinazione solo al momento del contatto con il cliente; la disconnessione o sospensione dall'account in caso di “comportamento problematico” senza alcuna valutazione di proporzionalità della misura o in merito all'attendibilità degli elementi di prova. Il carattere stringente di tali vincoli smentisce l'obiezione relativa alla pretesa libertà del prestatore di scegliere se e quando lavorare: per tali ragioni la Cour de Cassation francese si è pronunciata a favore della subordinazione per un autista di Uber sulla base delle considerazioni richiamate. Infine la Corte Suprema Spagnola (Tribunal Supremo, Sala de lo Social, Pleno) con la sentenza n. 805/2020 ha accertato che l'indipendenza del rider era solo apparente, anche con riferimento alla scelta del come e del quando lavorare, in quanto assoggettato alla piattaforma nell'organizzazione del proprio lavoro, in relazione al funzionamento dell'algoritmo di assegnazione degli slot, funzionale al migliore servizio per il datore di lavoro, e al sistema premiale e/o punitivo delle valutazioni. A seguito di tale sentenza in Spagna è stato approvato il Real Decreto Ley n. 9/2021 entrato in vigore il 12.8.2021 con il quale ai riders è stato riconosciuto lo statuto di lavoratori subordinati. La prima giurisprudenza di merito italiana pronunciatasi su questa tematica (Trib. Torino, 7 maggio 2018, n. 778; Trib. Milano, 10 settembre 2018, n. 1853), ha escluso la subordinazione proprio in ragione del fatto che i riders avevano la libertà di scegliere se e quando lavorare. La Corte d'Appello di Torino, con la sentenza n. 26/2019 del 4.2.2019 ha, invece, riconosciuto la sussistenza della ipotesi di cui all'art. 2 D.L.vo n. 81/2015. La Corte d'Appello di Torino ha affermato come la norma di cui all'art. 2 D.L.vo n. 81/2015 postula un concetto di etero-organizzazione in capo al committente che viene così ad avere il potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i luoghi di lavoro. Pur senza sconfinare nell'esercizio del potere gerarchico e/o disciplinare che è alla base della eterodirezione la collaborazione è qualificabile come etero-organizzata quando è ravvisabile un'effettiva integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazione produttiva del committente, in modo tale che la prestazione lavorativa finisce con l'essere strutturalmente legata a questa e si pone come un qualcosa che va oltre alla semplice coordinazione di cui all'articolo 409 n.3 c.p.c, poiché in questa ipotesi è il committente che determina le modalità della attività lavorativa svolta dal collaboratore. La Corte d'Appello di Torino non si è limitata a valutare solo il segmento iniziale del rapporto di lavoro con la piattaforma, ma ha analizzato anche quello successivo della fase esecutiva, rilevando la sussistenza dell'etero-organizzazione, in quanto i ricorrenti erano integrati funzionalmente nell'organizzazione determinata in via unilaterale dalla committente. La Corte ha ritenuto applicabile la disciplina di cui al primo comma dell'art. 2, D.Lgs. 81/2015, sottolineando, tuttavia, che ciò non comporta la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, in quanto il fattorino rimane un lavoratore autonomo nell'esercizio della sua attività. La costruzione dogmatica della Corte d'Appello di Torino, nell'affermare che l'art. 2 citato comporta l'applicazione della disciplina del lavoro subordinato di cui all'art. 2094 c.c., ma resta un terzo genere e, in quanto tale, distinto anche dalle collaborazioni di cui all'art. 409, n. 3, c.p.c., non è stata condivisa dalla Corte di Cassazione, che nella sentenza n. 1663 del 2020, pur confermando la sentenza in mancanza di ricorso da parte dei lavoratori in relazione alle domande relative ai licenziamenti ( ricorso incidentale che se fosse stato presentato, secondo questo Giudice, sarebbe stato accolto), ha ritenuto che “ dal 10 gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato tutte le volte in cui la prestazione del collaboratore abbia carattere esclusivamente personale e sia svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della prestazione, anche in relazione ai tempi e al luogo di lavoro, siano organizzate dal committente. Il legislatore, d'un canto consapevole della complessità e varietà delle nuove forme di lavoro e della difficoltà di ricondurle ad unità tipologica, e, d'altro canto, conscio degli esiti talvolta incerti e variabili delle controversie qualificatorie ai sensi dell'art. 2094 cod. civ., si è limitato a valorizzare taluni indici fattuali ritenuti significativi(personalità, continuità, etero-organizzazione) e sufficienti a giustificare l'applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato, esonerando da ogni ulteriore indagine il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi nella fattispecie concreta e senza che questi possa trarre, nell'apprezzamento di essi, un diverso convincimento nel giudizio qualificatorio di sintesi. In una prospettiva così delimitata non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, così connotate e di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell'autonomia, perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l'ordinamento ha statuito espressamente l'applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina. Tanto si spiega in una ottica sia di prevenzione sia "rimediale". Nel primo senso il legislatore, onde scoraggiare l'abuso di schermi contrattuali che a ciò si potrebbero prestare, ha selezionato taluni elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare possibili fenomeni elusivi delle tutele previste per i lavoratori. In ogni caso ha, poi, stabilito che quando l'etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell'applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato. Si tratta di una scelta di politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoro subordinato, in coerenza con l'approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di "debolezza" economica, operanti in una "zona grigia" tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea. L'intento protettivo del legislatore appare confermato dalla recente novella cui si è fatto cenno, la quale va certamente nel senso di rendere più facile l'applicazione della disciplina del lavoro subordinato, stabilendo la sufficienza per l'applicabilità della norma di prestazioni "prevalentemente" e non più "esclusivamente" personali, menzionando esplicitamente il lavoro svolto attraverso piattaforme digitali e, quanto all'elemento della "etero-organizzazione", eliminando le parole "anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro", così mostrando chiaramente l'intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive di tale nozione'(...)"Una volta ricondotta la etero-organizzazione ad elemento di un rapporto di collaborazione funzionale con l'organizzazione del committente, così che le prestazioni del lavoratore possano, secondo la modulazione unilateralmente disposta dal primo, opportunamente inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione di impresa, si mette in evidenza (nell'ipotesi dell'art. 2 D.Lgs. n. 81 del 2015) la differenza rispetto ad un coordinamento stabilito di comune accordo dalle parti che, invece, nella norma in esame, è imposto dall'esterno, appunto etero - organizzato. Tali differenze illustrano un regime di autonomia ben diverso, significativamente ridotto nella fattispecie dell'art. 2 D.Lgs. n. 81 del 2015: integro nella fase genetica dell'accordo (per la rilevata facoltà del lavoratore ad obbligarsi o meno alla prestazione), ma non nella fase funzionale, di esecuzione del rapporto, relativamente alle modalità di prestazione, determinate in modo sostanziale da una piattaforma multimediale e da un applicativo per smartphone" e che "possa essere ravvisata etero-organizzazione rilevante ai fini dell'applicazione della disciplina della subordinazione anche quando il committente si limiti a determinare unilateralmente il quando e il dove della prestazione personale e continuativa", concludendo nel senso che "al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall'art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 81 del 2015, la legge ricollega imperativamente l'applicazione della disciplina della subordinazione". La Corte di Cassazione nella stessa sentenza ha altresì affermato che "non può neanche escludersi che, a fronte di specifica domanda della parte interessata fondata sul parametro normativo dell'art. 2094 cod. civ., il giudice accerti in concreto la sussistenza di una vera e propria subordinazione (nella specie esclusa da entrambi i gradi di merito con statuizione non impugnata dai lavoratori), rispetto alla quale non si porrebbe neanche un problema di disciplina incompatibile….”. Il Tribunale di Palermo con la sentenza n. 3570 del 24.11.2020, pronunciandosi su un ricorso proposto da un lavoratore che aveva svolto attività di ciclo-fattorino, valutate le concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, per le quali la possibilità per il rider di decidere l'an e il quantum della prestazione erano solo formali, ha dichiarato l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti. Non vi è alcun dubbio che la norma di cui all’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 81 del 2015 abbia una funzione antifraudolenta. La Corte di Appello di Torino ha affermato nella sentenza più volte citata che la norma di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 81 del 2015 individuerebbe una fattispecie intermedia tra lavoro subordinato e autonomo contraddistinta dal potere organizzativo del committente e che a questa fattispecie il giudice potrebbe applicare solo parzialmente la disciplina del lavoro subordinato. Anche dottrine autorevoli hanno sostenuto che l’art. 2 comma 1 avrebbe individuato uno spazio normativo per la etero-organizzazione che sarebbe costitutiva di una nuova fattispecie tra lavoro subordinato e le collaborazioni continuative e coordinate e di una disciplina che dovrebbe essere individuata dal giudice. Secondo tali opinioni, le collaborazioni organizzate dal committente ai sensi dell’art. 2 comma 1 del d.lgs. n. 81/2015 darebbero vita ad un quartum genus, accanto al lavoro subordinato, a quello autonomo e alle collaborazioni continuative e coordinate dell’art. 409 n. 3 c.p.c. Tuttavia l’art. 2 comma 2 del D.Lgs. n. 81 del 2015, come condivisibilmente sottolineato da una autorevole dottrina, consente solo ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative di individuare una disciplina diversa da quella del lavoro subordinato e non anche al giudice. La Cassazione nella sentenza del 20 gennaio 2020 n. 1663 non solo respinge la qualificazione accolta dalla Corte di Appello di Torino come tertium genus ma rileva al par. 27 che la disciplina del lavoro subordinato si applica “anche a prestatori ritenuti in condizione di debolezza economica operanti in una zona grigia tra autonomia e subordinazione ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea” . Infatti come afferma uno dei più autorevoli sostenitori della subordinazione socio-economica la indeterminatezza e l’ampia apertura della definizione proposta del lavoro subordinato, e cioè il dover dipendere da altri per lavorare ,rendono possibile e sollecitano, anzi, la comprensione nel suo ambito di modelli diversi di rapporti di lavoro e di prestazioni, eventualmente caratterizzate da rilevanti differenze di trattamento. Del resto sia pure in un’altra prospettiva e con riferimento al lavoro esclusivamente personale la Corte costituzionale, con la famosa sentenza n. 30/1996, relatore Luigi Mengoni, aveva identificato la subordinazione nella cd. doppia alienità, intesa come destinazione esclusiva ad altri del risultato per il cui conseguimento la prestazione è utilizzata e come alienità dell'organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce, sicuramente più ampia di quella ricavabile dall’art. 2094 c.c. La conclusione testuale della Consulta è la seguente: "Quando è integrata da queste due condizioni, la subordinazione non è semplicemente un modo di essere della prestazione dedotta in contratto, ma è una qualificazione della prestazione derivante dal tipo di regolamento di interessi prescelto dalle parti con la stipulazione di un contratto di lavoro, comportante l'incorporazione della prestazione di lavoro in una organizzazione produttiva sulla quale il lavoratore non ha alcun potere di controllo, essendo costituita per uno scopo in ordine al quale egli non ha alcun interesse (individuale) giuridicamente tutelato". In sostanza si può ben affermare che la Cassazione con la sentenza del 2020 abbia condivisibilmente optato per una lettura della subordinazione in termini socio-economici. Alla luce di tali conclusioni, secondo questo Giudice, appare opportuno abbandonare criteri formali come il potere di coordinamento e ancor più il potere organizzativo che difficilmente, almeno nel concreto svolgimento del rapporto di lavoro, si distinguono dal potere direttivo ed optare per la adozione di criteri ermeneutici come la debolezza contrattuale o la dipendenza economica del collaboratore. Ciò premesso occorre affrontare la tematica della qualificazione giuridica dei rapporti tra i ridersi e la convenuta sulla scorta del concreto atteggiarsi del rapporto e non della sua formale qualificazione. La subordinazione è una nozione meramente fattuale: occorre quindi esaminare sulla base dei dati documentali allegati dalle parti quali sono le caratteristiche del rapporto nel suo dinamico attuarsi. Orbene, questo Giudice ritiene che le concrete modalità con le quali risulta essersi svolta l'attività lavorativa dei corrieri integrino i presupposti per il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato fra la società Uber Eats Italy S.r.l. ed i riders e non solo una ipotesi di collaborazione organizzata dal committente ex art. 2 D.L.vo n. 81/2015. Ciò che distingue le due fattispecie, ossia l'articolo 2094 c.c. e l'articolo 2 del D.L.vo n. 81/2015 non è l'etero-direzione contrapposta all'etero- organizzazione, ma la “dipendenza” intesa quale messa a disposizione da parte del lavoratore in favore dell'impresa del proprio tempo e delle proprie energie ( Cfr. sentenza del Tribunale di Torino del 18.11.2021). In sostanza il Giudice deve verificare se e in quale misura il lavoratore abbia la libertà di decidere se e quando lavorare con particolare riferimento ai meccanismi contrattuali di incentivo e penalizzazione che in concreto inducono il lavoratore a rendersi disponibile quanto più possibile. Ebbene Il software utilizzato dalla convenuta organizzava il lavoro del rider, che veniva individuato automaticamente sulla base di parametri non resi noti con l’indicazione, una volta accettata la consegna, del percorso ritenuto ottimale o comunque unilateralmente preso in considerazione dal sistema per il calcolo della tariffa (doc. 48 fascicolo ricorrenti ) prospettando automaticamente il luogo della consegna e il prezzo. Se è vero che non erano predeterminate fasce orarie o luoghi di raccolta, è indubbio che la convenuta concentrasse i riders nelle zone di maggior lavoro evidenziandole nell’app. Le tariffe venivano stabilite unilateralmente dalla convenuta che indicava senza alcun confronto per ogni ritiro/consegna la distanza e, in alcune città, anche il tempo di consegna (doc. 49 fascicolo ricorrenti). Il sotfware individuava il rider al quale comunicare il prezzo prestabilito, il luogo di consegna e, una volta accettata la consegna, forniva al rider, attraverso schermate successive, le istruzioni per il ritiro, il percorso e le modalità per la consegna. Dal meccanismo di funzionamento della piattaforma digitale così come descritto si evince non solo che il tempo di lavoro non dipendeva dalla libera determinazione del rider, ma anche che vi era un tempo variabile in cui il rider per poter lavorare doveva mettere le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro, senza ricevere peraltro in cambio alcun compenso: in sostanza tale disponibilità era resa obbligatoria dal funzionamento della piattaforma digitale. Nei casi di pagamento alla consegna il rider era tenuto a ricevere il corrispettivo che poteva avvenire anche in contanti (doc. 51 del fascicolo dei ricorrenti ). L’assegnazione dell’ordine al corriere, non garantita dal sistema, veniva inoltrata automaticamente sul suo smartphone solo dopo ogni consegna che doveva essere segnalata. L’accettazione della consegna doveva essere effettuata in quindici secondi: il sistema automatizzato dopo tale lasso temporale inoltrava la consegna ad un altro corriere. La convenuta suggeriva, pertanto, di monitorare costantemente lo smartphone per “accettare le richieste di consegna non appena vengono visualizzate”. Il numero di accettazioni e rifiuti veniva considerato dal sistema della convenuta il cui sistema calcola “la probabilità del rider” di accettare una corsa sulla base di una analisi dei comportamenti precedentemente posti in essere. (cfr. doc. 67 fascicolo dei ricorrenti). La gestione del rapporto avveniva attraverso sistemi automatizzati della convenuta che, interagendo con gli smartphone geolocalizzati, individuavano i corrieri ai quali offrire la consegna, determinavano il corrispettivo e monitoravano tutte le fasi della prestazione dalla idoneità del rider a ricevere l’ordine, al ritiro dall’esercente fino alla consegna al cliente. Tutti i riders della convenuta, pertanto, al fine di svolgere la propria attività, dovevano, previa registrazione nella piattaforma, installare sul proprio smartphone un software (una c.d. “app”) fornito dalla società collegata Uber Portier BV (la cd “app Uber driver”), accettare il trattamento dei loro dati e ottenere un profilo personale, costantemente aggiornato, tramite il quale accedere alla piattaforma digitale (doc. 55 del fascicolo dei ricorrenti). L’applicativo che il rider era obbligato ad installare era una condizione necessaria che consentiva di controllare la sua geolocalizzazione impostata su “precisione elevata”. I sistemi automatizzati della convenuta acquisivano ed elaboravano, inoltre, dati sulla affidabilità del rider (rateo di accettazione, velocità, frequenza, presenza) e di qualità della prestazione sulla base di “ratings” che, se negativi, venivano valutati su parametri non comunicati nè autorizzati né, pertanto, concretamente contestabili sebbene incidenti sulle possibilità di lavoro, potendo determinare anche la disconnessione. L’applicativo della società costringeva i riders a seguire le istruzioni del software per tutta la durata della prestazione, in quanto non era possibile svolgere l’attività lavorativa senza essere connessi con la piattaforma e senza seguire le tempistiche e le fasi imposte dal programma. Il rider non aveva alcuna possibilità di sindacare o richiedere la ragione per la quale il sistema automatizzato lo aveva scelto ovvero lo aveva escluso per una determinata consegna ovvero aveva scelto o aveva escluso un altro “collega” ubicato nel medesimo luogo. Tutti i parametri inseriti ed elaborati dall’algoritmo e la loro incidenza per veicolare la proposta di consegna automatizzata non venivano esplicitati. I sistemi automatizzati effettuavano continuamente e costantemente valutazioni di affidabilità, produttività e qualità atteso che l’individuazione di riders ubicati nel medesimo luogo non era mai casuale. Nell’esplicitare le modalità di consegna “a regola d’arte” la convenuta imponeva ai riders anche di ottemperare a indicazioni elementari e alle direttive dei ristoratori nelle consegne (doc. 62 fascicolo dei ricorrenti). Nella pagina web del sito della convenuta dedicata alla “informativa della privacy di Uber” si afferma: “l'abbinamento degli autisti partner e dei delivery partner disponibili con gli utenti che richiedono i servizi. Gli utenti possono essere abbinati in base alla disponibilità, alla posizione o prossimità, alle proprie impostazioni o preferenze e ad altri fattori, come la probabilità di accettare una corsa in base ai loro comportamenti precedenti o alle preferenze. Consulta questa pagina per ulteriori informazioni sul processo di abbinamento.” (doc. 67 del fascicolo dei ricorrenti). La convenuta formalizzava ed imponeva delle regole di condotta ai riders che dovevano attenersi alle modalità indicate in sede di consegna ( doc. 62 del fascicolo dei ricorrenti ) nonchè delle regole comportamentali definite “regole della community” (doc. 63 del fascicolo dei ricorrenti ) imposte a pena di disconnessione. La convenuta, inoltre, monitorava attraverso i feedback dei clienti e dei ristoratori il comportamento dei riders nei cui confronti esercitava un potere di controllo che poteva anche determinare la disattivazione dell’account “anche in caso di comportamenti tenuti al di fuori delle app … che possano danneggiare il marchio la reputazione o l’attività di Uber” (doc. 64 del fascicolo dei ricorrenti). L’affidabilità e la produttività del rider venivano valutati dai programmi della società che calcolavano e monitoravano il tasso di rifiuti di ordini che, pur non quantificato né evidenziato, determinava il sistema a generare penalizzazioni aventi rilevanza economica. La cancellazione degli ordini di abbinamento veniva monitorata dalla convenuta la quale poteva in ragione del tasso di cancellazione disporre la disconnessione dell’account del lavoratore (doc. 65 del fascicolo dei ricorrenti). I sistemi automatizzati della convenuta valutavano la qualità della prestazione dei riders e utilizzando quale parametro la cd “media di valutazione”. Ai sensi dell’art. 3 lett. j) del contratto standard ( doc. 79 del fascicolo dei ricorrenti), infatti, tutti i riders iscritti nella piattaforma accettavano di essere profilati con il sistema di monitoraggio automatizzato di valutazione: “Per poter continuare a beneficiare dell'accesso all'App Courier, è necessario che Lei mantenga una media di valutazione superiore alla valutazione media minima definita da Uber Eats per il Territorio, che potrà essere aggiornata di volta in volta da Uber Eats a sua esclusiva discrezione (“Valutazione Media Minima”). La sua valutazione media è volta a riflettere esclusivamente il grado di soddisfazione degli Utenti per i servizi di consegna da lei forniti. La valutazione media ha il solo scopo di garantire uno standard minimo di qualità del servizio che Lei è tenuto a rispettare per poter continuare ad usare l'App Courier.” Il sistema di valutazione della qualità della prestazione si basava su cd feedback che prevedeva una scala parametrale da uno a cinque effettuata dal cliente il cd “eater” o dallo staff del ristorante che erano gli unici soggetti con i quali il rider si confrontava. Il sistema di valutazione determinava conseguenze rilevanti ai fini del conferimento degli incarichi in quanto poteva causare lo scollegamento dall’app e la conseguente risoluzione e/o sospensione di fatto del rapporto di lavoro (doc. 69 del fascicolo dei ricorrenti). Il feedback di fatto costituiva un sistema latamente sanzionatorio in quanto si legge nel sito della società “(..) Se la tua valutazione non migliora, potresti perdere l'accesso all'app.”. La società indica quali parametri per ottenere un punteggio idoneo: “la velocità e l’efficienza”, “il servizio”, “il passaggio dell’ordine”, “l’attenzione alla consegna” e “la comunicazione” (doc. 70 del fascicolo dei ricorrenti). Stante il compenso alquanto ridotto riconosciuto per ogni consegna effettuata, è evidente che il rider, al fine di poter percepire un trattamento economico quotidiano dignitoso, è costretto ad accettare molte consegne ed ad effettuarle nel tempo più rapido possibile. Inoltre la società resistente monitorava i comportamenti del rider anche se svolti al di fuori dell’utilizzo dell’app al fine di sospendere o disattivare l’account e inibisce ai rider di avere contatti con i clienti e ristoratori (doc. 71). Infatti Uber vietava ai riders di “ inviare sms, chiamare, andare a trovare o tentare di andare a trovare qualcuno di persona e così via dopo aver completato una consegna” e vietava “ qualsiasi tipo di contatto sessuale, anche con conoscenti o persone consenzienti, durante l’utilizzo delle app Uber, compreso durante una corsa o una consegna”, nonché “ la condivisione dell’account”. Spesso in dottrina si parla della necessità di modernizzare il paradigma dell'art. 2094 c.c. al fine di renderlo applicabile alle modalità di svolgimento di attività lavorativa consentite e rese possibili dall'evoluzione tecnologica che ha sicuramente causato la disgregazione del posto di lavoro e dei suoi luoghi fisici. Tuttavia secondo questo Giudice non c’è nessuna novità categoriale da elaborare: appare evidente anche dai dati probatori del presente giudizio che le nuove tecnologie abbiano reso sempre più stringenti e penetranti le forme di controllo e di direzione delle attività del lavoratore da parte del datore di lavoro. A tal proposito si può ben parlare di una progressiva dilatazione della fattispecie della subordinazione nel mondo dei rapporti di lavoro. Infatti, se nel momento genetico del rapporto di collaborazione i riders avevano la possibilità di decidere liberamente di obbligarsi allo svolgimento delle prestazioni di consegna delle varie pietanze a domicilio, tuttavia gli stessi non potevano organizzare tempi e modi della propria prestazione in maniera autonoma, ma erano soggetti alle direttive provenienti dall'applicazione, ossia da Uber Italy s.r.l., che condizionavano la prestazione sino ad annichilire del tutto la autonomia del lavoratore ed a configurare in concreto le modalità di esecuzione nell'esclusivo interesse della stessa società che aveva il controllo totale della applicazione. Non vale poi ad escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato il fatto che i ricorrenti non avessero osservato un orario di lavoro a tempo pieno. In disparte la considerazione che occorre includere nella nozione di orario retribuibile anche le ore nelle quali i riders risultavano semplicemente connessi, va sottolineato come il fatto che l'attività non fosse svolta con orario a tempo pieno non muta la natura continuativa della prestazione e, comunque, non è determinante al fine di escludere la qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato. ( Cfr. la sentenza del Tribunale di Torino del 18.11.2021). Su tale aspetto, infatti, va ricordato che “ il concetto di subordinazione di cui all'art. 2094 c.c. non postula necessariamente una continuità giornaliera della prestazione lavorativa, potendo le parti esprimere una volontà, anche con comportamenti di fatto concludenti, di svolgimento del rapporto con modalità che prevedano una prestazione scadenzata con tempi alternati o diversamente articolati rispetto alla prestazione giornaliera o anche con messa in disponibilità del lavoratore a richiesta del datore di lavoro “ e che tale “ modalità temporale di svolgimento della prestazione, ove sussistente, non esclude quindi l'esistenza di un rapporto a tempo indeterminato, sia pure con diversi effetti sulla regolamentazione del corrispettivo spettante anche con riguardo agli istituti indiretti, dovendo tale corrispettivo essere parametrato alle giornate effettivamente lavorate, in assenza di diversa regolamentazione contrattuale delle parti” (cfr. in tal senso, Cass. n. 23056/2017). “ L’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo, esercitato dal datore (e plurimis, Cass. 7 aprile 2003 n. 5426), si risolve in una predisposizione; il datore predispone, in una misura maggiore o minore (a seconda del livello più o meno elevato del lavoro), i luoghi, i tempi e le modalità della prestazione (che è pertanto eterodiretta); e l’oggetto della prestazione in tal modo predisposta si risolve nelle operae (lavoro, nel senso puro del termine, in quanto svincolato da interna ragione e finalità). L’esistenza d’un potenziale potere disciplinare (come mera preventiva sussistenza d’un codice di comportamento e del potere della relativa applicazione datorile) non è parte del parametro normativo della subordinazione: la relativa assenza non la esclude. D’altro canto, come rilevato dal giudicante, ove le modalità della prestazione siano standardizzate, e la prestazione, nell’ambito d’un rapporto di breve durata, sia soggetta a continui controlli e diretti interventi di correzione, il potere disciplinare nella realtà ha limitato spazio di concreta presenza. Ed il fatto che, nello svolgimento che il rapporto ha storicamente avuto (come nel caso in esame), un potere disciplinare non sia stato esercitato (ben diversa sarebbe, eventualmente, la preventiva generale esclusione di questo potere), non costituendo negazione della subordinazione, resta irrilevante. Alla predisposizione non è necessaria la protrazione del rapporto nel tempo (il rapporto può anche essere costituito per una sola giornata: art. 23 terzo comma della legge 28 febbraio 1987 n. 56; Cass. n. 7304 del 1999): questo fissa solo la relativa durata. La predisposizione e l’assoggettamento sono la descrizione del contenuto del rapporto, nel suo materiale svolgimento. Il fatto che il lavoratore sia libero di accettare o non accettare l’offerta e di presentarsi o non presentarsi al lavoro e senza necessità di giustificazione, non attiene a questo contenuto, bensì è esterno, sul piano non solo logico bensì temporale (in quanto precede lo svolgimento). Tale fatto è idoneo solo (eventualmente) a precludere (per l’assenza di accettazione) la concreta esistenza d’un rapporto (di qualunque natura); e comporta la conseguente configurazione di rapporti instaurati volta per volta (anche giorno per giorno), in funzione del relativo effettivo svolgimento, e sulla base dell’accettazione e della prestazione data dal lavoratore. L’accettazione e la presentazione del lavoratore, espressioni del suo consenso, incidono (come elemento necessario ad ogni contratto) sulla costituzione del rapporto e sulla sua durata: non sulla forma e sul contenuto della prestazione (e pertanto sulla natura del rapporto). Egualmente è a dirsi per la possibilità che, fin dall’inizio o nello svolgimento del rapporto, il lavoratore, con il preventivo generale consenso del datore, si faccia sostituire da altri, che gli subentra: fatto temporalmente e logicamente esterno al contenuto ed allo svolgimento della prestazione. Poiché il singolo rapporto si instaura volta per volta (anche giorno per giorno), sulla base dell’accettazione e della prestazione data dal lavoratore ed in funzione del suo effettivo svolgimento, la preventiva sostituibilità incide sull’individuazione del lavoratore quale parte del singolo specifico contingente rapporto: non esclude la personalità del rapporto stesso (che poi si instaura), e pertanto la subordinazione, la quale resta riferita a colui che del rapporto è effettivamente (pur contingentemente) soggetto (svolgendo la prestazione e percependo la retribuzione)” ( Cfr. Cass. n. 3547 del 13.02.2018). Dalla documentazione prodotta si evince che l'assegnazione della consegna ai riders avveniva da parte della piattaforma sulla scorta di un algoritmo, che valutava la posizione del riders rispetto al ristorante e/o al luogo di consegna, al fine di rendere il più veloce ed efficiente possibile il servizio di consegna. Ciò comporta, da un lato, che la prestazione dei corrieri risultava completamente organizzata dall'esterno e, d'altra parte, che la libertà dei riders di scegliere se e quando lavorare, su cui si fonda la natura autonoma della prestazione, non poteva ritenersi reale, ma solo apparente e fittizia, poiché i corrieri potevano decidere di mettersi on line e collegarsi alla piattaforma. In realtà, dunque, non può ritenersi che fossero i riders a scegliere se e quando lavorare o meno, poiché le consegne venivano assegnate dalla piattaforma tramite l'algoritmo sulla scorta di criteri del tutto estranei alle preferenze e allo stesso interesse dei ciclofattorini. Le modalità di assegnazione degli incarichi di consegna da parte dell'algoritmo e quindi del datore di lavoro costringevano i riders ad essere a disposizione del datore di lavoro nel periodo di tempo antecedente l'assegnazione dello stesso, mediante la connessione all'app con il cellulare carico. In sostanza, quindi, al di là dell'apparente libertà dei corrieri di scegliere i tempi di lavoro e se rendere o meno la prestazione, l'organizzazione del lavoro disegnata in modo esclusivo dalla parte convenuta Uber Italy s.r.l. sulla piattaforma digitale nella propria disponibilità si è tradotta, oltre che nell'integrazione del presupposto della etero - organizzazione, anche nella messa a disposizione del datore di lavoro da parte del lavoratore delle proprie energie lavorative per consistenti periodi temporali, peraltro non retribuiti e nell'esercizio da parte della convenuta di poteri di direzione e controllo, oltre che di natura latamente disciplinare, che costituiscono gli elementi costitutivi della fattispecie del lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. Infatti non vi è dubbio che l’ algoritmo esercitava un controllo pervasivo sull’attività svolta dal singolo rider e penalizzava quei prestatori che non si adeguavano al modello ideale di produttore che presuppone la sottoposizione a turni impegnativi di lavoro, stilava la classifica dei più meritevoli e tracciava le prestazioni dei singoli e le confrontava. In sostanza la piattaforma tramite l’algoritmo controllava la prestazione e sanzionava i comportamenti non conformi a determinati standard. Si trattava quindi di un lavoro fortemente vincolato, nonostante fino all’accettazione dell’incarico il rider poteva essere libero e autonomo. Peraltro , se è vero che i corrieri erano liberi di prestare le loro energie lavorative per più società, dalla documentazione prodotta dalla società resistente non si evince nulla di ciò. L’attività prestata dai riders in favore di Uber era sicuramente personale, non prevedendo la possibilità di avvalersi di collaboratori, nonché in stretta dipendenza funzionale con le esigenze della resistente che, senza corrieri , non avrebbe potuto offrire alcun servizio e veniva prestata mediante l’impiego di mezzi modesti per consistenza e valore (una bicicletta o un motociclo e uno smartphone), sicchè, anche a voler procedere ad una comparazione di tipo quantitativo comunque non si potrebbe ipotizzare la prevalenza del fattore “capitale” sul fattore lavoro. Trattandosi di lavoratori subordinati la società resistente aveva l’obbligo, prima di procedere alla comunicazione dei recessi, di attivare con le organizzazioni sindacali ricorrenti le procedure di consultazione previste in caso di delocalizzazioni ex art. 1, commi 233 e seguenti della Legge 234/2021 nonché di attivare le procedure di informativa e consultazione previste dall’art. 4 e 24 della Legge 23 luglio 1991 n. 223 in materia di licenziamenti collettivi.

3. I collaboratori etero-organizzati

La sussistenza di tali obblighi di informazione in capo alla convenuta non viene meno se si opta per una qualificazione dei riders come collaboratori etero-organizzati. Infatti ai sensi dell’art. 2 D.Lgs 81 del 2015 già citato “si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”. Come già osservato in precedenza, la norma citata prevede delle ipotesi nelle quali il comma precedente non si applica tra cui il caso di regolamentazione dei rapporti di collaborazione mediante CCNL stipulati con OOSS dotate di una certa rappresentatività. Il CAPO V bis dello stesso decreto contiene norme per la tutela del lavoro tramite le piattaforme digitali. L’Art. 47 bis statuisce: “Le disposizioni del presente capo stabiliscono livelli minimi di tutela per i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l'ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all'articolo 47, comma 2, lettera a), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali. 2. Ai fini di cui al comma 1 si considerano piattaforme digitali i programmi e le procedure informatiche utilizzati dal committente che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, sono strumentali alle attività di consegna di beni, fissandone il compenso e determinando le modalità di esecuzione della prestazione”. Occorre, peraltro, ricordare che l’art. 47 quinquies estende a questi lavoratori autonomi anche la disciplina contro la discriminazione e quella prevista per i lavoratori subordinati a tutela della libertà e della dignità. Nessuna rilevanza nel senso di escludere la sussistenza di una forma di etero-organizzazione può essere attribuita alla possibilità per il rider di non accettare l’ordine in quanto tale potere, come già sottolineato non è incompatibile neppure con lo schema del lavoro subordinato. Infatti, come già osservato, secondo la Corte di Cassazione, si deve tener conto della peculiarità dei singoli settori ed è irrilevante, ai fini della subordinazione, che il singolo lavoratore sia libero di accettare o non accettare l'offerta, di presentarsi o non presentarsi al lavoro e senza necessità di giustificazione, nonché, con il preventivo consenso del datore di lavoro, di farsi sostituire da altri, atteso che il singolo rapporto può anche instaurarsi volta per volta, anche giorno per giorno, sulla base dell'accettazione della prestazione data dal lavoratore ed in funzione del suo effettivo svolgimento ( Cass. n. 9343 del 2005).

La prestazione dei riders, tenuto conto della bassa remunerazione prevista per ogni singola consegna, è evidentemente destinata a giustificarsi, dal punto di vista economico, solo nel caso in cui essa sia continua e ripetuta. Non sembra che tale attività possa invece trovare alcuna convenienza in caso di consegne effettuate in modo occasionale o significativamente selezionate dal lavoratore stesso. Ne deriva che ai riders “si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato”, secondo il più volte citato art. 2 D.Lgs 81/2015 con la conseguenza che ad essi spetta anche la tutela in materia di licenziamento. E a questo punto assume rilevanza la tematica del perimetro dei diritti che discendono dalla equiparazione dei lavoratori etero-organizzati a quelli subordinati: si deve infatti valutare se essi siano solo quelli individuali (compresa la tutela contro la discriminazione) o anche quelli collettivi. In assenza di specifiche restrizioni non desumibili dalla lettera né tantomeno dalla ratio della norma la “protezione equivalente” sancita dall’art. 2 si estende alla dimensione collettiva dei diritti dei lavoratori stessi, dimensione che notoriamente garantisce il rispetto e l’affermazione dei diritti individuali: infatti va osservato che la tutela sindacale è pienamente complementare rispetto a quella individuale e consente la sua piena attuazione sul piano e con gli strumenti che le sono propri. La disciplina del lavoro subordinato ricomprende anche l’azione ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori e non potrebbe essere altrimenti atteso che se l’esigenza sentita dal legislatore era quella di “tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di "debolezza" economica, operanti in una "zona grigia" tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea”, come evidenziato dalla Suprema Corte nella sentenza del 2020, un’analoga protezione può essere assicurata solo riconoscendo alle organizzazioni sindacali la facoltà di ricorrere al rimedio ex art. 28 dello Statuto anche nell’ambito di un conflitto realizzatosi nei riguardi di un committente rispetto ai collaboratori ex art. 2 d.ls 81/2015. In questo senso, la Corte di Cassazione, nella sentenza del 2020 più volte citata, ha precisato che la norma introdotta nell'ordinamento nel 2015 va contestualizzata. Essa si inserisce in una serie di interventi normativi con i quali il legislatore ha cercato di far fronte, approntando discipline il più possibile adeguate, alle profonde e rapide trasformazioni conosciute negli ultimi decenni nel mondo del lavoro, anche per effetto delle innovazioni tecnologiche, trasformazioni che hanno inciso profondamente sui tradizionali rapporti economici. In questi termini, la Corte di Cassazione (sentenza n. 1663 del 2020, già citata) ha chiarito che “I rapporti di collaborazione di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015, norma di disciplina e non di fattispecie, non costituiscono un "tertium genus" intermedio tra autonomia e subordinazione sicché, al verificarsi delle condizioni ivi previste, consegue l'applicazione della disciplina della subordinazione, senza che sia necessario selezionare quali parti di questa disciplina siano ad essi applicabili”. È ben vero che la Corte di Cassazione precisa che, in alcuni casi, l’applicazione tout court della disciplina della subordinazione può essere incompatibile ma secondo questo Giudice tale rilievo della Corte appare poco persuasivo in quanto, come già sottolineato, nel testo normativo si fa riferimento alla ipotesi derogatoria derivante dalla esistenza di contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali rappresentative. Del resto, nella disciplina del rapporto di lavoro subordinato sono ricompresi tutti i diritti che trovano il loro fondamento nello Statuto dei Lavoratori e necessariamente le azioni poste a tutela di tali diritti, quindi anche l’azione ex art. 28 che ne consente una protezione a livello collettivo a fronte di condotte lesive, non tipizzate, di beni giuridici quali la libertà ed attività sindacale ed il diritto di sciopero, di cui sono titolari tanto i singoli lavoratori, quanto le organizzazioni sindacali: molto spesso infatti alcune condotte datoriali dispiegano una efficacia lesiva pluri-offensiva sia nei confronti dei lavoratori che nei confronti d elle organizzazioni sindacali di riferimento. ( sul punto appaiono sicuramente condivisibili le argomentazioni della sentenza del Tribunale di Firenze n. 781 del 2021 e della Corte di Appello di Firenze n. 447 del 21.08.2023).

4. Gli obblighi di informazione e di consultazione

Per quanto riguarda l’onere di informazione previsto dalla legge 223/1991, va osservato che la cessazione di migliaia di rapporti di lavoro impone la applicazione della legge sui licenziamenti collettivi. La condotta della società resistente si presenta, quindi, antisindacale per avere omesso completamente le informazioni sindacali previste dalla legge. Inoltre la resistente ha omesso di attivare le procedure di informazione e consultazione previste in caso di delocalizzazione. La procedura di delocalizzazione di una società multinazionale trova applicazione ai sensi dell’art. 1, comma 224 della legge 234/21. La disposizione normativa statuisce che “chi intenda procedere alla chiusura di una sede, di uno stabilimento, di una filiale, o di un ufficio o reparto autonomo situato nel territorio nazionale, con cessazione definitiva della relativa attività e con licenziamento di un numero di lavoratori non inferiore a 50 è tenuta a dare comunicazione per iscritto dell'intenzione di procedere alla chiusura alle rappresentanze sindacali aziendali o alla rappresentanza sindacale unitaria nonchè alle sedi territoriali delle associazioni sindacali di categoria comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e, contestualmente, alle regioni interessate, al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al Ministero dello Sviluppo Economico e all'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro.” La comunicazione deve avvenire almeno 180 giorni prima dell’avvio della procedura di licenziamento collettivo (comma 227) ed è finalizzata ad elaborare un piano per limitare le ricadute occupazionali della decisione (comma 228). Tale procedura essenziale per una effettiva disamina delle ripercussioni occupazionali è stata del tutto omessa dalla società resistente sull’errato presupposto che la propria base occupazionale sia limitata ai soli 49 lavoratori assunti con rapporto di lavoro subordinato. La norma non può essere limitata ai soli lavoratori subordinati atteso che accede alla procedura di licenziamento collettivo di matrice eurounitaria di cui costituisce un presupposto procedurale e, sotto altro profilo, per l’evidente equiparazione normativa dettata dalla norma di disciplina di cui all’art. 2 del d.lgs 81/2015 alle normative garantistiche che devono essere riconosciute senza alcuna delimitazione. È evidente quindi che una normativa a tutela del tessuto occupazionale è compatibile e deve essere applicata anche ai rapporti di lavoro cd eterodiretti. Ne consegue che la omissione del confronto determina, in quanto condotta idonea a ledere una prerogativa di negoziazione in un contesto di forte impatto sociale, una condotta oggettivamente antisindacale. Non sussiste, invece, la violazione delle disposizioni normative di cui al D.lgs. n. 25 del 2007. Tale provvedimento legislativo, riprendendo peraltro le prescrizioni della direttiva 11 marzo 2002/14/CE, prevede un sistema di “relazioni sindacali” per le imprese che, nei due anni precedenti, hanno occupato almeno 50 lavoratori subordinati ed hanno ad oggetto questioni quali i livelli occupazionali. Il decreto legislativo in esame stabilisce espressamente che l’informativa e la consultazione ivi previste sono disciplinate dalla contrattazione collettiva (“i contratti collettivi definiscono le sedi, i tempi, i soggetti, le modalità ed i contenuti dei diritti di informazione e consultazione”: art. 3, primo comma). E difatti l’articolo 5 della direttiva citata statuisce che gli Stati membri possono affidare alle parti sociali al livello adeguato, anche a livello dell'impresa o dello stabilimento, il compito di definire liberamente e in qualsiasi momento mediante accordo negoziato le modalità di informazione e consultazione dei lavoratori. Pertanto non vi sono dubbi sul fatto che tali obblighi informativi, a differenza di quelli relativi alle delocalizzazioni ed ai licenziamenti collettivi, possano trovare in via esclusiva la disciplina di riferimento nella contrattazione collettiva. Ebbene, nel caso che ci occupa, la società resistente non applica alcun contratto collettivo neppure al personale formalmente dipendente: per tali ragioni non è ipotizzabile per la convenuta una violazione delle norme di cui al D.lgs. n. 25 del 2007. A tal proposito non appaiono condivisibili le argomentazioni delle organizzazioni sindacali secondo cui l’assenza di contrattazione collettiva applicata non esimerebbe dall’obbligo di informativa e consultazione in esame. Il legislatore italiano, sulla base della norma autorizzativa citata di cui alla direttiva, è chiaro nel rimettere integralmente alla contrattazione collettiva che non è certo obbligatoria per i datori di lavoro la determinazione dei tempi e delle modalità di estrinsecazione dell’informazione e della consultazione. E’ evidente che, in assenza di un contratto collettivo ( che in sostanza si pone con riferimento a questa materia come il “soggetto legislatore” ) , non v’è la possibilità in concreto di effettuare l’informativa e la consultazione che non possono non avere una caratterizzazione contenutistica e temporale predeterminata. Infatti, in assenza di una procedura stabilita a livello di contrattazione collettiva, la iniziativa datoriale potrebbe essere esposta al rischio di contestazioni sindacali circa la non adeguatezza in concreto a soddisfare le esigenze sindacali. E’ necessaria, dunque, una predeterminazione in termine di contenuti e tempi dell’obbligo di informativa in questione che nel caso che ci occupa manca.

5. I rimedi giudiziali

La società convenuta insiste più volte nella memoria di costituzione sulla tesi della insussistenza di una condotta antisindacale sulla base del dato che le organizzazioni sindacali sono state convocate dopo la deliberazione dei recessi. In disparte la considerazione che l’avvenuta convocazione rappresenta un elemento probatorio sintomatico del riconoscimento di un qualche ruolo da parte di Uber delle organizzazioni sindacali in chiave di tutela dei diritti dei ciclofattorini che stride in modo evidente con tutta la linea difensiva espressa, va osservato che la convocazione successiva a fronte di una decisione non solo maturata ma anche concretamente deliberata e attuata costituisce una condotta che demolisce fortemente la funzione del coinvolgimento sindacale. Non vi è alcun dubbio che sia antisindacale la condotta aziendale con la quale i sindacati sono stati semplicemente posti di fronte al fatto compiuto, con la conseguenza che al sindacato è stato impedito di adempiere alla sua funzione istituzionale. L’intensità della lesione delle prerogative sindacali è tanto più grave se si ricorda che la normativa esaminata prevede che le informazioni devono essere date in modo da permettere ai rappresentanti sindacali di formulare un parere ed ottenere un riscontro possibilmente motivato sulle decisioni aziendali. L’iniziativa economica in Italia è assolutamente libera e non vi è alcuna invocazione di co- decisione da parte dei sindacati ricorrenti , ma se una società di grosse dimensioni decide di andare via dall’Italia e di mandare a casa migliaia di lavoratori senza informare le organizzazioni sindacali in via preventiva sulle ragioni di tale deliberazione è evidente che quella società non ha alcuna considerazione del ruolo che una organizzazione sindacale deve svolgere. Sulla base di tali considerazioni la cessazione della condotta antisindacale e la rimozione dei suoi effetti, nel caso in esame, non può trovare effettiva attuazione se non attraverso il rispetto degli obblighi di informazione e consultazioni previsti dalla legge. Anche la revoca dei recessi adottati rientra pienamente nella rimozione degli effetti, in quanto non avrebbe alcun senso la riattivazione di un processo di relazioni sindacali se rimane intatta la deliberazione più incisiva in termini negativi delle posizioni giuridico-patrimoniali dei lavoratori. Le richieste avanzate dalle organizzazioni sindacali di comunicazione della presente decisione ai singoli corrieri e di ordinare alla società resistente la pubblicazione del presente provvedimento su alcune testate giornalistiche è fondata e merita di essere accolta, mentre va rigettata la richiesta di condanna della resistente al risarcimento del danno all’immagine, dal momento che risulta che la società resistente non abbia riservato un più favorevole trattamento ad altra e diversa organizzazione sindacale, circostanza che consente di escludere la sussistenza di un danno: peraltro la allegazione sul danno ipotizzato è oltremodo generica. Con riferimento, infine, alla richiesta di applicazione della norma contenuta nell’art. 614 bis c.p.c., occorre osservare che si tratta di un istituto di carattere eccezionale che, in quanto tale, richiede un’espressa previsione di legge che nel caso che ci occupa difetta. La norma in questione, infatti, statuisce espressamente che le disposizioni non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 409 cpc. Non vi è dubbio che la esistenza di un connubio tra tutela dei diritti del lavoratore e tutela delle organizzazioni sindacali abbia un riflesso anche sulla interpretazione dell’art. 614 bis cpc che, se è vero che contiene un riferimento esplicito al solo art. 409 c.p.c., non può che riferirsi in via oggettiva anche a quelle norme che sono collegate alla tutela del lavoro subordinato come l’art. 28 della Legge n. 300/1970. Non appare peraltro persuasiva la tesi secondo cui in ipotesi di ritenuta inapplicabilità della norma citata sarebbe oltremodo sacrificato il principio di effettività della tutela. Infatti ai sensi dell’art. 28 L. 300/1970, “il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale”. Per tali ragioni la richiesta di condanna della convenuta al pagamento di una astreinte nella misura di Euro 5.000,00 non può trovare accoglimento. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, devono essere in parte compensate, stante il mancato accoglimento integrale delle domande.

P.T.M.

dichiara la natura antisindacale della condotta di Uber Eats Italy s.r.l. consistente nella omissione della procedura di consultazione per la cessazione delle attività del food delivery nel territorio nazionale risolvendo tutti i rapporti di lavoro ai sensi dell’art. 1, commi 224 e seguenti della legge234/21; dichiara la natura antisindacale della condotta di Uber Eats Italy s.r.l. consistente nel mancato avvio della procedura di cui agli art. 4 e 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223 per i rapporti di lavoro dei riders per i quali è stata prevista la disconnessione dalla piattaforma e la conseguente illegittimità dei recessi comminati; ordina alla resistente di revocare tutti i recessi dai contratti di lavoro di coloro che svolgono la prestazione di rider con le modalità descritte in motivazione con account attivo alla data del 14 giugno 2023; ordina alla società convenuta di avviare con le organizzazioni sindacali ricorrenti, ossia la Nidil Cgil Milano, la Filcams Cgil Milano e la Filt Cgil Milano le procedure e il confronto previsto in caso di cessazione di attività dall’art. 1, commi 224 e seguenti della legge 234/21; di avviare le procedure di cui agli art. 4 e 24 legge 23 luglio 1991 n. 223 con riferimento ai rapporti di lavoro di coloro che in forma continuativa e personale svolgevano la loro attività come ciclofattorini per la società con account attivo alla data del 15 giugno 2023; rigetta le domande residue; ordina alla resistente di comunicare il presente decreto a tutti i riders tramite la piattaforma nonché con le medesime modalità utilizzate per la comunicazione del recesso e di inserire il presente provvedimento nella pagina aziendale https://www.uber.com/it/it/deliver/ del sito della convenuta dedicata alle comunicazioni e informazioni ai riders con dimensioni di almeno mezza pagina e nelle pagine Facebook ed Istagram; ordina alla resistente di pubblicare a proprie spese su il Fatto Quotidiano, la Repubblica, il Corriere della Sera ed il Sole 24 ore il dispositivo del presente provvedimento entro dieci giorni dalla comunicazione della presente decisione; condanna la resistente al pagamento di 2/3 delle spese di lite della organizzazioni sindacali ricorrenti, che liquida per l’intero in complessivi Euro 3.550,00, con compensazione del residuo 1/3, oltre IVA, CPA e rimborso delle spese generali nella misura del 15% con distrazione in favore dei procuratori dichiaratisi anticipatari. Si comunichi.

Milano, 28.09.2023

Il Giudice

( Luigi Pazienza)

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